Emozioni e disturbi dell’apprendimento, quale relazione?

Non di rado succede che arrivino da me bambini con sindrome ansiosa, attacchi di panico o mutismo selettivo con ripercussioni soprattutto in ambito scolastico. I genitori sono molto preoccupati, spesso non riescono a spiegarsi i comportamenti dei loro figli e, di contro, si instaurano in famiglia dinamiche relazionali disfunzionali.

Come noto, le difficoltà scolastiche sono spesso associate a quadri di disturbo di apprendimento o di attenzione.

Ma l’apprendimento è un processo molto complesso e può succedere spesso che anche studenti che non hanno particolari disturbi di apprendimento, presentino difficoltà scolastiche con comportamenti disfunzionali.

Perché? Cosa succede ai ragazzi nel periodo degli apprendimenti?

Cerchiamo di rispondere a questo quesito, analizzando come avviene l’apprendimento all’interno dei circuiti neurali e anche qual è il ruolo delle emozioni in questo processo.

Lo studio delle emozioni ci ha mostrato come esse abbiano origine nel sistema limbico, in particolare nell’amigdala e, di conseguenza, come esse abbiano una funzione di allerta per l’organismo, legata soprattutto alla sopravvivenza. E’ proprio l’ attivazione dei circuiti sottocorticali del cervello, che giustifica il perché quando proviamo determinate emozioni, si attivano anche dei segnali a livello fisiologico (ad esempio: sudorazione, tachicardia, tensione muscolare, etc.). Allo stesso modo, lo stimolo viene elaborato anche dalle cortecce associative che mettono in moto i processi di valutazione cognitiva della situazione che diventano parte dell’emozione vissuta.

In questa prospettiva, rispetto all’apprendimento, se uno studente che presenta ad esempio un disturbo di apprendimento e sperimenta emozioni come la paura di sbagliare, il suo sistema di sopravvivenza si attiverà in modo tale da portarlo all’evitamento di situazioni analoghe. Ad esempio: se il bambino è consapevole di non saper leggere bene o scrivere adeguatamente, può sperimentare emozioni negative rispetto a questo problema e sviluppare disagio o blocchi nel processo di apprendimento, nonché cercare di evitare situazioni che possano evidenziare le sue difficoltà.

Questo accade perché l’emozione e la cognizione sono interconnesse tra loro con la differenza che l’attivazione emotiva, genera memorie più resistenti all’interno dei nostri circuiti cerebrali.

Vediamo come…

Se un’informazione è stata appresa sperimentando paura, ogni volta che tornerà alla memoria, si attiverà il vissuto emotivo corrispondente in quanto l’apprendimento e l’emozione hanno tracciato lo stesso percorso sinaptico.

Infatti, in tutti i processi di apprendimento andiamo a memorizzare anche le emozioni relative a quell’evento.

Ma mentre le informazioni apprese, finiranno nella memoria procedurale o semantica, che permetteranno di costruire la nostra cultura e la nostra conoscenza, la memoria delle emozioni (ad esempio in caso di difficoltà di lettura o scrittura, del sentimento di incapacità e inadeguatezza), sarà conservata nella memoria autobiografica, che permette di formare la percezione che abbiamo di noi stessi e il senso di autostima e autoefficacia percepita.

Il ripetersi di questi meccanismi negli anni scolastici porterà ad una ripetizione del circuito e il bambino imparerà che non è capace ad eseguire quel dato compito, sentendosi impotente.

In base a questi principi teorici, analizzati negli ultimi anni da ricercatori dell’Università di Padova (Studi sulla Warm Cognition della Dott.ssa Lucangeli), dovremmo fare in modo di tracciare emozioni positive nel percorso degli apprendimenti ed è per questo che è importante, soprattutto nel caso di ragazzi con disturbi di apprendimento, creare una situazione didattica favorevole, promuovendo l’utilizzo di strumenti compensativi, ausili didattici, piani di studio personalizzati e soprattutto valutazioni basate più sul contenuto che sulla forma o sull’errore, sia in ambito domestico, sia scolastico.

Inoltre, nel caso in cui si verifichino condizioni di disagio scolastico, è indicato associare alla terapia neurocognitiva degli apprendimenti, anche un percorso di sostegno psicologico mirato alla ristrutturazione dei pensieri patologici e al controllo del carico emotivo del ragazzo o della sua famiglia.

Dottoressa Federica Rizza

Dottoressa Federica Rizza

Dott.ssa Federica Rizza, Psicologa-Psicoterapeuta-Specialista in Neuropsicologia. Laureata e Specializzata presso l’Università di Roma La Sapienza, iscritta all’Ordine degli Psicologi del Lazio con n.17264. Ha lavorato per anni presso l’I.R.C.C.S. San Raffaele Roma e l’I.R.C.C.S. Fondazione Santa Lucia per attività clinica con adulti neurologici e in età evolutiva e per attività di ricerca con diverse pubblicazioni scientifiche.

Articoli consigliati